Una presentazione densa di spunti di
riflessione, questa del libro di Luigi Fenizi "Deposito bagagli"
( Roma, Scienze e lettere, 2016). Che ha fatto intervenire piu'
volte il pubblico, nella libreria "Le storie-Bistrot" di Roma al
quartiere Ostiense: con domande all' Autore e ai relatori, sia
sui grandi temi della vita ( senso complessivo dell' esistenza,
morte,dolore), sia sulle possibili scelte d'un'umanità ormai
orfana delle ideologie otto-novecentesche. Sì, perchè questo
"Deposito bagagli", di Fenizi ( funzionario del Senato in
pensione, storico e autore di vari saggi su grandi figure del
900, da Albert Camus a Varlan Salamov ), è un' autobiografia dal
duplice taglio. Da un lato, cavalcata nella storia d'Italia del
dopoguerra, vista appunto con gli occhi d'un funzionario del
Senato ( belle le pagine che l' Autore dedica ai suo incontri
con Ferruccio Parri, conosciuto nei suoi ultimi anni, Pietro
Nenni, Aldo Moro, di cui Fenizi fu studente a Scienze politiche
alla "Sapienza"). Dall' altro, storia della lunga lotta condotta
contro un male fortemente invalidante: improvvisamente apparso
sulla scena della vita dell' Autore, dividendola
irrimediabillmente in un "Prima e in un "Dopo", agli inizi degli
anni '90.
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Una battaglia - ha
detto Fenizi - combattuta, e in parte vinta, grazie all' amorevole e
costante aiuto della mia famiglia e degli amici piu' cari; mentre molto
m'ha aiutato il rapporto col trascendente, del quale, pur non essendo
credente, ho sempre avuto il senso".
Dicevamo delle ideologie: "A guardar bene,
però", ha osservato Alberto Benzoni, già Vicesindaco di Roma negli anni
'70-'80 ( con le giunte Petroselli e Vetere), "quelle che sono
pienamente crollate sono le ideologie classiche, di stampo ottocentesco
( vedi anzitutto il marxismo-leninismo), che pretendevano di spiegare e
inquadrare, con ottica totalizzante ( e totalitaria), ogni aspetto della
vita umana. Ma oggi, in una sitiuazione mondiale sempre più
caratterizzata da gravi diseguaglianze ( vedi anzitutto il Terzo mondo),
si sente, anzi, piu' di prima il bisogno d'un pensiero "forte", non
ideologico, appunto, ma capace d' affrontare concretamente problemi
diversi, ma non meno gravi di quelli del passato". Stefania Catallo,
Presidente del Centro Antiviolenza "Marie-Anne Erize" di Tor Bellamonaca
( dedicato alla memoria d'una giovane attivista argentina per i diritti
umani, tra le vittime del sanguinario golpe dei generali del marzo
1976), s'è soffermata sui cambiamenti psico-fisici, e intellettuali,.
prodotti nell' Autore dalla lunga malattia. "Devo dire, però", ha
precisato Fenizi, " che , come accade in tante vicende della vita
personale e collettiva, questo male non è venuto solo per nuocere: dopo
un primo periodo di grave abbattimento, infatti, ho sentito che , come
per misterioso compenso, la malattia ha fortemente acuito la mia
sensibilità, la capacità di cogliere rapidamente, molto piu' di prima,
le vere motivazioni di tante scelte del mio prossimo. Anche il mio modo
di scrivere, così, ne ha tratto giovamento".
Proprio al modo di
scrivere dell' Autore, infine, ha fatto riferimento Giuseppe Averardi,
senatore emerito, giornalista e storico: tracciando un parallelo tra il
dolore di Fenizi e quello - piu' morale che fisico - della sua
generazione. Quella "generazione del '56", fatta in gran parte di ex-
dirigenti del PCI, che, come appunto Averardi, Michele Pellicani,
Eugenio Reale, esattamente sessant'anni fa,di fronte al dramma dell'
Ungheria, avvertirono d'aver professato per anni un' ideologia
sanguinaria e fallimentare; e cercarono, angosciosamente, una siloniana
"Uscita di sicurezza" nelle file socialdemocraticje e socialiste. |