L'aborto e il rinnovamento del costume

La campagna per la liberalizzazione dell'aborto è, per molti aspetti, il replay di quella per il divorzio. Anche qui, l'integralismo cattolico non si rassegna all'approvazione della legge (avvenuta nel 1978), pretende la controprova del voto popolare, sperando che il Paese reale sia diverso da quello legale, ed è clamorosamente sconfitto, nel referendum del 1981. Anche qui, la modernizzazione legislativa, che allinea tardivamente l'Italia alle regole degli altri Paesi avanzati, matura lentamente, dopo molte proposte che non giungono in porto, dopo piccoli passi parziali, tutti sotto il segno della prevalente iniziativa socialista e di coraggiose battaglie radicali. Si parte da un costume ancora congelato dal patto di ferro fra fascismo e Chiesa cattolica e dal peso sproporzionato dell'Italia contadina e meridionale rispetto a quello dell'Italia urbana più vicina all'Europa. Non soltanto l'aborto è considerato un crimine ;è vietata persino la propaganda anticoncezionale, secondo una filosofia ben sintetizzata dal titolo stesso del capitolo del codice destinato alla materia: "Delitti contro l'integrità e la sanità della stirpe".

Infatti, due mesi dopo, arriva la prima proposta di legge sull'argomento, avanzata dal socialisti. Può sembrare incredibile, ma allora la battaglia abortista era criminalizzata. E d'altronde, una giustizia che libera sanguinari mafiosi perché non trova il tempo per processarli, ha ancora processato e, bontà sua, assolto, nel 1990, con decenni di ritardo, un gruppo di radicali rei di istigazione all'interruzione della maternità.

Loris Fortuna è tra gli animatori della propaganda liberalizzatrice, ma per costruire uno schieramento parlamentare sufficientemente ampio occorre il pieno impegno del Pci, che invece tarda. Anzi, ancora nel 1973, interpellato in una tribuna elettorale a proposito dell'aborto, Enrico Berlinguer dichiara: "E' una questione sulla quale continuiamo a discutere e a meditare. Nel complesso la nostra opinione non sarebbe orientata verso la cosiddetta legalizzazione".

Eppure, la questione è di quelle che colpiscono proprio le famiglie di più modeste condizioni economiche: in Italia infatti si registrano un milione di aborti clandestini all'anno; i "cucchiai d'oro" ne ricavano un fatturato di molte centinaia di miliardi; l'identikit delle donne più soggette all'intervento di praticoni o medici inesperti è quello delle meridionali povere, e il numero dei decessi è spaventoso. Quando nel 1975 si vara la normativa sulla contraccezione e sui consultori, subito dopo il nuovo diritto di famiglia, quando nel 1978 la legge sull'aborto finalmente è approvata e quando nel 1981 il referendum la conferma, si può ben dire che il motore del rinnovamento sono stati l'avanguardia radicale e la forza di convinzione del movimento socialista.

Con il referendum si chiude in modo inappellabile una pagina secolare del costume italiano: cessa la nostra diversità meridionale rispetto all'Europa, cessa, anche se l'episcopato insiste nella polemica, la presunta diversità italiana causata dalla presenza, a Roma, del capo della Chiesa. Ma le tappe di questo profondo cambiamento del costume sono tante. Nel 1949 la senatrice socialista Lina Merlin, dopo una durissima polemica, elimina, con le "case chiuse", la prostituzione di Stato. "Noi socialisti - dice - come non ammettiamo la sottomissione di una classe all'altra, non ammettiamo la sottomissione della donna all'uomo". E in queste semplici parole, cosi come in tutti i successi sulla strada della parità tra i sessi, si coglie il seme gettato da Anna Kuliscloff e dalle lotte, anche contro la prostituzione, condotte dal movimento socialista sin dai primi del'900.

Nel 1955, di nuovo per iniziativa della Merlin, è eliminata l'inutile e avvilente indicazione "NN" sui documenti dei figli non riconosciuti dal padre. Nel 1963 viene per la prima volta presentata dai socialisti una legge per l'abolizione del cosiddetto "delitto d'onore", che cadrà praticamente in disuso, ma sarà cancellato definitivamente soltanto nel 1981.

Sempre nel 1963 è proibito il licenziamento per causa di matrimonio. Nel corso della stagione riformista degli anni '60, cade la rigida censura sui film e sugli spettacoli: quella che, ad esempio, provoca il sequestro di "Rocco e i suoi fratelli", uno dei capolavori di Visconti.

In tutte queste campagne liberalizzatrici, a cominciare da quelle decisive sul divorzio e l'aborto, le difficoltà dei socialisti, che le sostengono con successo nonostante l'insufficienza della forza elettorale, derivano dal fatto che, nella sinistra, i comunisti, proprio nel pieno delle aggressioni conservatrici, a loro volta, li attaccano con un massimalismo distruttivo su tutti gli altri terreni politici programmatici possibili.

L'appoggio del Pci su divorzio, aborto e sui temi di libertà in genere, infine, dopo molti tentennamenti, arriva, ma poco entusiasta.