Se c’è un uomo che il
“riformismo” lo ha “frequentato” per
una vita intera, quell’uomo è Rino Formica.
Più che una intervista, quella che segue è una lezione
di politica, quella alta, fatta di passione civile e
lucidità intellettuale, impartita da un signore di 93
anni, uno degli ultimi “Grandi
vecchi”,
e grandi per statura politica e non per anzianità
acquisita, della politica italiana. Dar conto di tutti
gli incarichi di primo piano, di governo – Ministro
delle finanze, dei trasporti, del commercio con
l’estero, del lavoro e della previdenza sociale – e di
partito, che il senatore Formica ha ricoperto,
prenderebbe tutto lo spazio di questa intervista.
Senatore
Formica, su questo giornale si è aperto un vivace
dibattito a sinistra sul concetto di riformismo. Per
Goffredo Bettini l’essenza di un riformismo forte
consiste «nell’accorciare le distanze tra chi sta
sopra e chi sta sotto». E per lei?
Vede, c’è un elemento di
fondo, sempre valido, che distingue il riformismo dal
conservatorismo. Il riformismo pone i problemi maturi
per risolverli. Il conservatorismo attende che i
problemi siano marci per poi non poterli risolvere.
Tutto il resto, se c’è un avvicinamento o un
allontanamento delle classi, sono tutte quante
semplificazioni scolastiche. C’è poi un’altra cosa
importante da aggiungere: la soluzione riformistica
non esclude la soluzione della rottura, anche la
soluzione violenta. Rivoluzione e riforme non sono
necessariamente due termini in conflitto. Possono
anche essere elementi convergenti. La rivoluzione crea
un momento della rottura, la riforma modifica il
sistema nel punto dove è avvenuta la rottura.
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