(18-09-2018) Una società che muta sempre più velocemente necessiterebbe di nuovi modelli
sociali volti a governarne ed accompagnarne i processi. Al contrario, ci si
scontra con una diffusa mancanza di visione del futuro. Ne consegue che la
maggior parte dell’impegno e degli sforzi delle forze politiche e sociali siano
focalizzati sul solo governo dell’attualità degli eventi. Nascono quindi
risposte parcellizzate a grandi questioni che andrebbero affrontate all’interno
di ben più ampi e profondi orizzonti. Persa la capacità di immaginare e
“sognare” un futuro migliore, tutto viene incentrato su “soluzioni tampone” fini
a se stesse.
Invece di liquidare come
iniziative elettoral-populiste molte delle proposte
all’ordine del giorno delle nuove formazioni politiche,
bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni profonde sulle
quali si fondano. Ci si accorgerebbe che molte di queste
sono reali e maturano nell’incapacità dei vecchi modelli
sociali di dare le necessarie risposte alle nuove
necessità di una società in continua evoluzione.
Osservando la società con un
occhio consapevole, ci si renderebbe conto che non siamo
in presenza di malattie incurabili e che non servono
quindi delle risposte palliative:
-
reddito di cittadinanza (per sopperire alla diminuzione
dei posti di lavoro dovuti alle nuove tecnologie,
all’automazione e all’intelligenza artificiale);
-
chiusura dei centri commerciali nelle festività (per
ovviare alla mancanza di tempo da dedicare alla famiglia e
al riposo);
-
sussidi e agevolazioni per assistere figli e anziani (a
causa della mancanza del tempo necessario da poter
dedicare a loro);
Una profonda consapevolezza che
guarda al futuro coglierebbe le nuove esigenze come
l’opportunità per costruire un mondo migliore.Vanno quindi
ripensati i grandi modelli sistemici generali, tendendo ad
un obiettivo di sempre maggiore giustizia sociale. La
necessaria redistribuzione della ricchezza,
imprescindibile fondamento per la vera libertà dell’uomo,
non può esimersi dall’affrontare la grande questione del
lavoro. Lavoro che oggi sta diventando, invece che
strumento di libertà, mezzo di schiavitù. La concorrenza
per il posto di lavoro, la precarizzazione, la dinamicità
degli orari e delle forme di lavoro stanno occupando tutti
gli spazi fisici e mentali degli uomini
Non esistono più certezze e vengono meno i “momenti”
per vivere i piaceri della vita.
L’altra faccia della medaglia è
una società che offre molto di più sotto altri punti di vista, ai quali ci siamo
abituati e ai quali non rinunceremmo.
- Come coniugare quindi
la tendenza ad una crescente diminuzione dei posti di lavoro con la necessità di
un’universale redistribuzione della ricchezza?
- Come
coniugare il piacere e l’opportunità di fare shopping a tutte le ore e tutti i
giorni della settimana con la necessità di tempo da dedicare alla propria vita?
- Come garantire le giuste attenzioni ai nostri figli e ai nostri cari
che necessitano assistenza con un impegno lavorativo dinamico che spesso copre
l’intera giornata?
La risposta non è il reddito di
cittadinanza, che oltre a creare concorrenza tra reddito da lavoro e da sussidio
rischia di svilire la stessa dignità dell’uomo, o la chiusura dei centri
commerciali che gli stessi lavoratori stressati ed esausti vorrebbero (nel loro
profondo) aperti a tutte le ore, o la detrazione per le spese di baby-sitter e
assistenti ai nostri cari.
Un risposta lungimirante e organica non
può che essere individuata nella riduzione
dell’orario lavorativo che consentirebbe di lavorare tutti e meno!
Ovviamente, alla riduzione dell’orario di
lavoro non deve conseguire la
riduzione delle retribuzioni, che ne
neutralizzerebbe gli effetti.
La riduzione generalizzata dell’orario di
lavoro deve essere parte di un disegno di ben più ampio respiro,
che superi gli attuali confini nazionali e che individui nella
costruzione di nuove e future organizzazioni democratiche e
sovranazionali i propri fondamenti.
Pur con lo sguardo rivolto alla
costruzione di un nuovo modello futuro, la riduzione dell’orario
di lavoro può essere istituita da subito trovando soluzioni
tecniche a suo sostegno (ad esempio concentrando le risorse,
volte a garantire il reddito di cittadinanza, alcune di quelle che
si dovrebbero destinare alle agevolazioni per baby-sitters e
sostegno alle persone in difficoltà, ecc, per “coprire” parte
della contribuzione fiscale e previdenziale che verrebbe
accantonata dallo stato liberando la retribuzione netta in busta
paga…)
Un
invito alle organizzazioni politiche e sindacali, al mondo della
cultura e agli uomini che si prefiggono di “guardare al futuro”,
riconoscendosi nei valori del socialismo riformista e democratico,
affinché si facciano promotori (nel nostro paese e non solo) delle
30 ore lavorative.
Daniele Delbene
(18-09-2018)
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