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di Rino Formica su Domani (www.editorialedomani.it) del
07-02-2021
Alla
fine del primo giro di consultazioni del presidente del consiglio
incaricato è emersa l’orgia del giustificazionismo. Vito Crimi,
con un penoso balbettìo, ha declassato il confronto a una
«chiacchierata». Matteo Salvini, altro giustificazionista ma abile
e con faccia tosta, ha recitato la parte di vecchio europeista
e vecchio unitario. Mentre parlava d’altro, gli è sfuggito, come
sgorgato dal profondo, che era il giorno di Santa Dorotea. Nel Pd
si apre una partita. Da una parte, l’area della revisione
dell’autonomismo di pensiero di un nuovo socialismo in Italia e in
Europa. Dall’altra, quelli del vecchio retaggio del frontismo,
oggi per l’alleanza strategica con M5S. I Cinque stelle sono
diventati la risorsa aurea del Pd. Negli scorsi trent’anni sono
stati al governo o all’opposizione ma comunque sempre all’ombra di
un’altra forza politica. Almeno prima erano all’ombra dei
cattolici, adesso sono all’ombra di Grillo.
Su cosa dovevano pronunciarsi i
partiti? Torniamo al mandato ricevuto da Mario Draghi. Dopo
l’esplorazione di Fico, al presidente della Repubblica è stata
consegnata l’impossibilità di una maggioranza politica. Mattarella
prende atto e fa un disperato discorso, un’operazione fuori dal
suo schema tradizionale di rispetto formale della Carta. Dice:
constato che non c’è una maggioranza politica, il mio
potere-dovere è sciogliere le camere, prendo la responsabilità di
un atto di infrazione, faccio appello a dare la fiducia a un
governo di un’alta personalità che salvaguardi l’unità con un
governo «senza una precisa formula politica». Nasce il governo
Mattarella-Draghi. E’ Mattarella a chiedere su di esso la fiducia.
Dopo la prima cascata di no,
matura il contrordine delle forze politiche che cercano il modo di
giustificare la convergenza sul sì. Perché questo governo nasce da
un atto di coraggio del Colle ma anche dal principio naturale di
quando il sistema decisionale democratico entra in crisi: se non
riesci ad avere una maggioranza ti devi accontentare della
unanimità. Il Colle ha detto a un uomo che ha un curriculum
internazionale di altissimo profilo: tu crea tutte le condizioni
democratiche per fare funzionare la macchina e risolvere le
emergenze. E alle forze politiche: la tregua consente una
riflessione di ogni singolo partito sulle ragioni perché in
trent’anni alternandovi, alleandovi, dividendovi, facendo tutte le
combinazioni più strane di questo mondo, avete fallito tutti nel
creare un passaggio da una democrazia fragile a una democrazia
compiuta. Oggi invece siamo una democrazia in disfatta.
Questo governo ha davanti un
viottolo stretto e pieno di inciampi. Ha pochi mesi in cui può
sfruttare la forza del Colle, la debolezza del sistema politico
che non ha una soluzione alternativa, e l’acquietamento dell’area
mobile di ascari parlamentari che sbandano da una parte all’altra
sotto l’incubo del voto. A fine luglio scatta il semestre bianco.
In pochi mesi il governo Mattarella-Draghi deve fare il possibile
per rendere irreversibili alcune riforme profonde, sul fisco, sul
lavoro, sulla giustizia. Rendere operativa la macchina degli
interventi economici e compiere qualche atto significativo di
spostamento fra spesa cattiva in spesa buona. Sul piano
istituzionale, varare una legge proporzionale perché il prossimo
parlamento sia costituente.
Se invece la decomposizione è
entrata ormai nelle ossa del sistema politico italiano, allora non
resterà che ciondolare fra catastrofismo e miracolismo. Un giorno
la paura del crollo, un altro giorno il sogno del miracolo.
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