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di Riccardo Nencini su
Avanti! online del 02-01-2021
In una lunga
intervista Scalfari indica ai lettori di Repubblica i riformisti
italiani del ‘900. Sono cinque, eccoli: Gobetti, Rosselli, De
Gasperi, La Malfa, Berlinguer (forse Aldo Moro).
Bene, ma una cosa è citare
protagonisti della vita politica cui si ispira il giornale di cui
è stato fondatore e direttore, altro tentare di costruire un
pantheon del riformismo italiano. Si dirà, ognuno legge la storia
patria con occhi di parte, e però vi sono dati oggettivi, non dico
la verità, che non si possono proprio tacere, altrimenti, per
citare Balzac, si fa della cronologia spicciola. E, aggiungo io,
si riduce la storia a un cencio bagnato.
Riformista è chi adotta un metodo
graduale per cambiare la realtà. Non è un rivoluzionario né un
conservatore. Il termine nasce all’interno del movimento
socialista. Questo il vocabolario.
Gobetti, dunque. Sì, senza dubbio, un
liberale eretico in una lunga notte d’inferno. Fu lui a scrivere
l’elogio più emozionante di Matteotti straziato dalla squadraccia
di Dumini. Fu lui, Gobetti, a considerare il socialista Matteotti
un maestro di vita perché era stato tra i pochissimi a intuire la
dittatura fascista e a cercare di porvi rimedio dopo aver cambiato
la vita di migliaia di straccioni polesani. Vogliamo mettere
Giacomo tra i riformisti? E di Turati che ne facciamo? Dello
sporco socialriformista attaccato da fascisti e comunisti vogliamo
parlare visto che proprio loro lo considerano il principe dei
riformisti? E infatti, tra coloro che ne favorirono la fuga in
Francia dal porto di Savona c’è proprio Rosselli, sporco
riformista anche lui.
Saltando al secondo dopoguerra, a De
Gasperi, grande statista, aggiungerei Fanfani – rileggersi le
riforme attuate dai suoi governi – e più tardi Nenni quale
artefice del centrosinistra. Prima di Nenni, Saragat. E poi La
Malfa.
Che Scalfari cancelli Craxi è scontato,
ma che citi Berlinguer come maestro del riformismo è
un’esagerazione che nemmeno lui, Berlinguer, avrebbe tollerato...[CONTINUA
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