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			INTERVISTA A DANIELE DELBENE 
			
			
			Gli Stati Uniti d’Europa, la 
			giustizia sociale e la dittatura del tempo 
			  
			
				
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					La rivoluzione 
					post umana, la sinistra e le chiavi di lettura del futuro. 
					Riflessioni su un nuovo approccio critico contro 
					l’ortodossia del pensiero unico. | 
				 
			 
			  
			
			 
			
			  
			
			di Vito Fiorino 
			(giornalista, già membro del coordinamento nazionale della 
			Costituente nazionale Pse) 
			
			  
			
			
			Daniele Delbene, già presidente della Costituente nazionale Pse ed 
			esponente del Tavolo nazionale di concertazione del Socialismo 
			Italiano. Nei giorni scorsi avete lanciato un manifesto sugli Stati 
			Uniti d’Europa centrato su un nuovo modello di giustizia sociale.
			
			Manifesto che peraltro ha riscosso un grande successo e migliaia di 
			interazioni sui social tra i ventenni. 
			Come mai secondo te un nuovo ruolo europeo non può prescindere dalla 
			questione sociale? 
			“Le 
			Istituzioni devono essere uno strumento per garantire a tutti gli 
			uomini le condizioni per potersi emancipare e realizzare. Solo 
			l'emancipazione socio-economica permette agli uomini di essere 
			veramente liberi. Diversamente, avremo tutti i diritti del mondo a 
			disposizione dei soli pochi che potranno farli valere e rispettare. 
			Per consentire a tutti di poter essere liberi bisogna quindi 
			redistribuire meglio la ricchezza e questo lo si può fare solo con 
			regole a livello globale o quantomeno a livello europeo”. 
			 
			
			Secondo te gli Stati Uniti 
			d’Europa vanno pensati partendo da un approccio nuovo sul tema della 
			cessione di sovranità e della suddivisione di competenze tra stati 
			membri e Unione Europea. Cosa non ha funzionato finora e cosa 
			proponete? 
			“L'Unione 
			Europea in questi anni è stata uno strumento non al servizio dei 
			popoli europei, ma succube di burocrati e tecnocrati che non sanno 
			guardare oltre a quello che c'è e a regole non democratiche ma 
			figlie di un sistema finanziario globale controllato da pochi.
			 
			
			La pandemia ha fatto 
			comprendere anche a chi era abituato a non guardare oltre l'uscio di 
			casa che anche per per vivere egoisticamente, chiusi nel proprio 
			appartamento, c'è bisogno di politiche che vadano ben oltre i 
			confini nazionali. Questo vale per mantenere la pace, per 
			redistruibuire le ricchezze, per garantire diritti e libertà. 
			Finanza, tassazione, commercio, difesa, lavoro, ambiente, salute e 
			protezione civile dovranno quindi essere competenze gestite a 
			livello europeo”.  
			
			Stati Uniti d’Europa, Europa 
			delle Regioni erano gli slogan del socialismo europeo nella ricca 
			elaborazione che da più fronti si è sviluppata nel secolo scorso. 
			Ritenete che la deriva tecnocratica dell’Europa del presente si 
			possa correggere con questa ricetta? 
			“Certamente, 
			però bisogna fare chiarezza”. 
			
			Spiegati meglio. 
			“Bisogna 
			fare attenzione quando si parla di Stati Uniti d'Europa, o meglio 
			bisogna comprendere cosa immaginano i proponenti. Noi per Stati 
			Uniti d'Europa intendiamo appunto il mezzo per consentire agli 
			uomini di emanciparsi economicamente e socialmente, per permettere 
			loro di realizzarsi e poter godere dei piaceri che la vita offre, e 
			per garantire pace e libertà. Altri immaginano gli Stati Uniti 
			d'Europa sul modello di quelli Americani. Gli Stati Uniti d'America 
			sono una grande democrazia con tanti diritti civili ma poca 
			giustizia sociale e quindi la vera libertà è per pochi. Ad esempio, 
			tutti hanno diritto a curarsi, ma di fatto si cura solo chi può 
			permetterselo”. 
			
			In che modo l’Europa, che 
			nel contesto attuale fatica a ritagliarsi un ruolo nel gioco delle 
			sfere di influenza delle grandi potenze globali, può addirittura 
			diventare un motore per internazionalizzare i diritti? 
			“Diventando 
			una vera e democratica Europa politica, che con le caratteristiche 
			accennate può rappresentare l'embrione e quindi il presupposto per 
			la costruzione, un domani, degli Stati Uniti del Mondo: l'unico 
			strumento in grado di garantire pace e libertà globali”. 
			 
			
			Quando parlate, nel 
			manifesto, della necessità di costruire organismi rappresentativi 
			internazionali che promuovano la lotta alle diseguaglianze cosa 
			intendete? 
			“Le 
			organizzazioni internazionali devono essere espressione dei popoli 
			che rappresentano e dunque dei loro interessi e non invece strumenti 
			controllati da pochi sconosciuti nominati non si sa bene da chi. 
			L'interesse primo che accomuna tutti i popoli è rappresentato dalla 
			giustizia sociale, dalla libertà, dalla pace e dalla possibilità di 
			vivere la propria vita. Uguaglianza non significa essere tutti 
			uguali, ma al contrario consentire a tutti di potersi realizzare in 
			base alle proprie capacità, al proprio impegno e ai propri meriti. 
			Questo deve essere il compito e l'obiettivo delle organizzazioni 
			sovranazionali”. 
			
			
			Mai come in questo momento la parola progresso, inteso come 
			progresso tecnologico, rischia di essere antitetico rispetto al tema 
			delle conquiste sociali. L’intelligenza artificiale stravolgerà il 
			mondo del lavoro così come lo concepiamo oggi. Il paragone con la 
			vecchia rivoluzione industriale sembra ovvio, ma le dimensioni 
			dell’impatto dell’IA vanno decisamente oltre il post umanesimo, come 
			prepararsi?
			 
			“Se 
			il progresso è inteso come miglioramento delle condizioni e delle 
			aspettative di vita degli uomini, non può che essere il benvenuto. 
			Non bisogna aver paura del progresso: si tratta di un percorso 
			irreversibile, lo si può rallentare, ma non lo si può impedire. Il 
			punto è un altro”. 
			
			Quale? 
			“Il 
			progresso va governato. E per governarlo bisogna essere in grado di 
			anticiparlo immaginando oggi quello che sarà domani. E se ad 
			anticiparlo, immaginarlo e governarne i processi ci sono 
			organizzazioni democratiche e fondate su principi di giustizia 
			sociale e libertà, ecco che il progresso può rappresentare il 
			realizzarsi di un mondo migliore per tutti gli uomini”. 
			“Lavorare 
			tutti per lavorare meno” è uno dei capisaldi del vostro manifesto. 
			Si tratta di un obiettivo realisticamente realizzabile secondo te? 
			“Non 
			si tratta solo di un obiettivo, ma anche di un'esigenza conseguente 
			alla progressiva riduzione della necessità di forza lavoro. Non solo 
			è una conquista realizzabile, ma una priorità ineludibile. 
			Ovviamente, per consentire a tutti di lavorare meno con una 
			retribuzione che non solo non diminuisca ma al contrario venga 
			adeguata alle reali necessità della vita, c'è bisogno di 
			redistribuire meglio le ricchezze, perlomeno in un contesto europeo. 
			Anche per questo servono politiche europee comuni a tutti i paesi 
			membri. Ma senza guardare a domani, già oggi si può fare molto in 
			questa direzione spendendo meglio le risorse disponibili”. 
			
			Spiegati meglio. 
			“Oggi 
			il sistema, con un numero di posti di lavoro in netta diminuzione 
			anche rispetto all'aumento della popolazione, costringe gli uomini a 
			lavorare un numero di anni sempre più elevato e questo determina 
			inevitabilmente che i figli e i più giovani trovino un'occupazione 
			decente ad un'età sempre più elevata. Lo Stato nel suo insieme 
			spende enormi risorse per sussidi ai giovani (reddito di 
			cittadinanza, disoccupazione, incentivi vari locali e nazionali). 
			Quindi il sistema spende le risorse per lasciare sul divano chi ha 
			le energie e la voglia di contribuire al futuro, chi ha bisogno di 
			costruirsi una famiglia e una vita, e al contrario fa lavorare chi 
			dopo anni di fatiche ha meno energie, meno entusiasmo e avrebbe 
			bisogno di potersi finalmente godere la vita. Si tratterebbe già 
			nell'immediato di invertire la spesa corrente e già si avrebbero le 
			risorse per frenare l'innalzamento dell'età pensionabile e per 
			rivedere l'orario di lavoro. Salvo che a qualcuno non giovi vedere 
			gli uomini sempre soffocati dalle incertezze, dalle difficoltà e 
			dalla mancanza di tempo libero”. 
			
			Recuperare il tempo perduto, 
			per misurare la qualità della vita con lenti diverse, come può 
			trasformarsi realisticamente in un obiettivo politico? 
			“Bisogna 
			cogliere le opportunità che si hanno di fronte per imprimere 
			un'accelerazione. Non possiamo solo immaginare un mondo migliore per 
			il futuro, dobbiamo avere l'ambizione di poterlo realizzare già a 
			partire dal presente nell'interesse non solo delle generazioni 
			future ma già di quelle attuali. 
			
			Tra qualche mese si terranno 
			le elezioni europee. Bene: sia l'occasione per discutere, 
			confrontarsi e realizzare l'accelerazione a cui accennavo”. 
			
			Nel dibattito politico 
			nazionale in vista delle prossime elezioni europee, ancora i motori 
			non si sono scaldati. Il vostro manifesto sembra auspicare la 
			nascita di un'idea nuova che ancora non c’è. Con quali gambe 
			dovrebbe camminare questa idea e dove dovrebbe collocarsi? 
			“Per 
			poter immaginare una nuova società e un mondo migliore, bisogna 
			essere in grado di uscire da quello che è il pensiero unico dettato 
			dall'attuale modello. Le forze politiche attuali negli ultimi 
			decenni non hanno saputo fare questo. Hanno guardato il mondo in 
			bianco e nero, dove per bianco si intendeva il bene e per nero il 
			male. Servono forze politiche in grado innanzi tutto di guardare il 
			mondo a colori”. 
			
			Cosa manca alla sinistra 
			italiana ed europea per tornare ad essere rappresentativa? Le forze 
			progressiste da anni sembrano spiazzate e perdono mordente. 
			“Il 
			problema non è cosa manca alla sinistra, è che è mancata la 
			sinistra! E qui bisogna fare chiarezza. La sinistra non va vista 
			come un luogo geografico. Quella che in questi anni si è 
			identificata come sinistra è stata spesso l'espressione di forze 
			politiche cieche, che da un lato hanno accettato tutte le regole 
			imposte dalla società e dall'altro sono rimaste vittime di 
			preclusioni ideologiche vecchie. Quella sinistra che ha saputo solo 
			distinguere tra buoni e cattivi è stata una dei primi responsabili 
			del crescente malessere sociale che sta attraversando l'Europa. 
			Servono forze nuove e vitali, animate da un nuovo umanesimo 
			socialista che possa rappresentarne il cuore e il cervello. Servono 
			uomini e donne nuovi che sappiano sognare e che non siano stati 
			protagonisti nella politica degli ultimi decenni”. 
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