I
Era il 2 giugno 1960, festa della Repubblica. Si
era nel pieno della crisi del Governo Tambroni e Nenni convocò il
Comitato centrale del Partito per offrire alla DC una soluzione
democratica ai rischi di una drammatica involuzione politica.
Fu durante quel Comitato centrale che Raniero
Panzieri, il leader teorico del movimentismo, interruppe le conclusioni
di Nenni, gli contestò la “malattia del capo” e lo accusò di voler
riportare il Psi con il suo revisionismo ideologico, alla situazione
pre-1921.
Panzieri così si rivolse a Nenni: “Credi tu,
compagno Nenni, che l’esperienza della generazione che va da te a
Morandi a noi più giovani sia stata inutile?”
Nenni così rispose: “No, però la sintesi che
cercavamo delle due esperienze, la socialista e la comunista, non
l’abbiamo trovata e tra il ’55 e il ’56 abbiamo sbattuto il muso contro
le contraddizioni che credevamo di aver risolto”.
Nenni attraversò il novecento, il secolo delle
ideologie dense ed impietose, nella consapevolezza che i sistemi di idee
hanno la forza per offrire delle visioni del mondo, ma non sempre
riescono a sanare la rottura tra il dominio del totale ed il rispetto
della frantumazione e dell’individuale. Fu così che Nenni accettò i
vincoli delle alternative secche imposte dalle ideologie, ma seppe anche
riservare all’azione il compito creativo di forzare il corso delle cose
al fine di modificare l’equilibrio delle forze in campo. L’ideologia
imponeva la rigidità delle parole: padrone (democrazia/dittatura,
socialismo/capitalismo, mercato/pianificazione, fascismo/comunismo). Al
contrario, l’azione politica manovrata e variabile serviva a ridare
forma a ciò che l’ideologia deformava e mutilava.
Una lucida ossessione segnò la vita di Nenni:
cambiare il quadro istituzionale, mutare gli equilibri sociali,
accelerare i tempi del cambiamento con il sostegno creativo del
movimento.
All’interno di queste coordinate Nenni individuò
nel principio di unità il punto non eliminabile per dare concretezza
alla lotta politica.
Nenni fu unitario per l’intero corso della sua
vita. Fu unitario nel ‘21-‘26 quando si battè per l’unità antifascista.
Fu unitario nell’emigrazione in Francia quando approdò all’unità tra
riformisti e massimalisti. Fu unitario nella sinistra con i Fronti
popolari anni ’30. Fu unitario quando negli anni ’60 volle sanare la
frattura di Palazzo Barberini per influire sul revisionismo comunista. I
processi unitari che Nenni auspicò o fallirono in parte o non produssero
gli effetti positivi sperati. A questo tormento Nenni dovette aggiungere
il dramma delle lacerazioni socialiste. Le scissioni dei riformisti nel
1923, di Palazzo Barberini del 1947, del PSIUP del 1964 e
dell’unificazione nel 1969.
Su i processi unitari falliti e sui danni provocati
dalle scissioni, le ricerche storiche sono numerose e non sempre serene
e veritiere. Nella comunità degli storici del ‘900 politico, ha prevalso
la tendenza militante. Essa non poteva non partire che dalla frattura
più significante e lacerante del movimento socialista: la separazione
nel 1921 a Livorno dei comunisti dai socialisti.
Da questo evento comincia una lotta di eliminazione
a sinistra che ha conosciuto momenti di tregua (la lotta antifascista, i
fronti popolari, le emergenze nazionali) e che è proseguita negli anni
della costruzione dello Stato repubblicano sino alla grande slavina
degli anni ’90. Come riuscì Nenni a compiere il miracolo di tenere ferma
la prospettiva della ricomposizione unitaria della frattura di Livorno
senza ammainare la bandiera dell’autonomia di pensiero e di azione del
socialismo italiano? Nenni guardava il quadro internazionale e lo
proiettava su lo schermo della vita nazionale. In questa contingenza si
immergeva in forma totale ma non in maniera definitiva. Restava attento
ad ogni mutamento della realtà per poter spostare l’asse della sua
attenzione.
Angelo Tasca che conosceva la storia umana e
politica di Pietro Nenni, così sintetizzò questa espressione di arte e
di scienza politica: “Il matrimonio di Nenni con l’ideologia è un
matrimonio di stima. Con l’azione è un matrimonio d’amore”.
Se Nenni non avesse avuto questa capacità di saper
legare il principio di unità alle espressioni di ribelle autonomia, non
avrebbe potuto donare alla sua Patria la Repubblica, l’incontro storico
di governo tra radicalità socialista e popolarismo cattolico ed una
politica estera di pace fuori dalle trappole del pacifismo unilaterale.
I primi 25 anni di storia repubblicana coincidono
con il ciclo sempre ascendente della vita nazionale. Nell’avanzare della
situazione generale del Paese c’è lo spostamento in avanti della
frontiera del movimento della sinistra italiana. Il decennio 1959-1969
fu il più felice periodo della Repubblica. Esso fu segnato dall’incontro
di Governo fra Moro e Nenni. Fu rotto l’incantesimo del continuismo,
della lenta evoluzione e della immodificabilità del carattere nazionale.
Si provò che era possibile formare una maggioranza riformista tra
cattolici e socialisti; che la politica poteva guidare il processo di
secolarizzazione della società e che le forze politiche erano in
condizioni di liberare la società civile.
Ma cosa soffocò questo processo virtuoso?
Certamente le resistenze conservatrici e l’ostilità della sinistra non
coinvolta, ma fu il rifiuto delle burocrazie partitiche e sindacali ad
utilizzare il vento che soffiava nella società per introdurre dosi
rilevanti di revisionismo nel pensiero e nella dottrina dei partiti per
operare un profondo rinnovamento generazionale nelle classi dirigenti.
Il pensiero vecchio fu rispolverato e la cooptazione dei fedeli
sostituirono il rinnovamento radicale. Ma questa è un’altra storia.
Per ora ci preme rilevare che l’incontro di due
strategie (quella dell’allargamento delle basi popolari dello Stato in
Moro, e quella del riscatto sociale delle masse sofferenti di Nenni) fu
il momento topico della Repubblica. Solo una ostile storiografia
dominante ha coperto di ombre e di polvere il periodo ’59-’69.
Nenni con il suo ultimo scritto su Almanacco
Socialista il 1 gennaio 1980 aveva ammonito:” L’anno ’80 in cui entriamo
e il decennio che con esso si apre saranno decisivi. Tutto è in
questione, tutto è posto di fronte all’alternativa di rinnovarsi o di
perire”.
Non possiamo conoscere il suo severo giudizio sul
trentennio che abbiamo vissuto senza la Sua guida, ma riteniamo di non
aver tradito la Sua grande lezione umana e politica.
Tre sono i punti fermi del Suo insegnamento:
1) L’unità è una immensa risorsa, ma se è unità
formale è sempre un limite.
2) E’ falso e deviante lo schema fondato su la
necessità di non avere alcun nemico a sinistra.
3) Quando l’ideologia entra in conflitto con la
realtà occorre ripensare l’ideologia.
Se è vero, come è vero, che è contro natura pensare
ad una stanca ripetizione della storia passata, è anche vero che senza
principi e senza azioni coerenti corriamo il rischio di passare dalle
ideologie totalizzanti alla praticoneria semplificatrice. Ma anche
questa è un’altra storia. E’ la storia del nostro tempo e dobbiamo
saperla dominare con i nostri mezzi e non con il semplice ricordo
celebrativo dei nostri padri
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