[Reply Form Handler]

L’INTERVISTA RINO FORMICA

 «Le iene finanziarie mangeranno la seconda Repubblica»

 Andrea Cangini -  da Il Quotidiano Nazionale del 17 Luglio 2011 - 

ROMA CI SONO almeno tre buone ragioni per interpellare Rino Formica sulla crisi del berlusconismo e della cosiddetta Seconda repubblica: da craxiano, ha vissuto in prima persona il crollo della Prima; essendo un politico vecchio stampo, ha sempre una «visione» articolata delle cose; è un anticonformista cui si debbono indimenticabili immagini come quella sui «nani e le ballerine» che popolavano la corte di Craxi. E allora, Formica, quel è il bandolo della matassa? «Credo sia poco utile perdersi nei dettagli della cronaca quotidiana, siamo di fronte a una svolta epocale: la crisi del sistema politico italiano va inquadrata nella crisi del sistema europeo e atlantico. Obama parla come il greco Papandreu, e dall’esito dello scontro in corso tra la classe dirigente tedesca dipenderà il futuro dell’euro». Il punto, dunque, è il contesto internazionale? «Certo. La principale causa della dissoluzione della Prima repubblica fu la fine del comunismo, su cui s’innestarono gli interessi del capitalismo finanziario...». E la Seconda? «La Seconda repubblica è messa peggio della Prima, perché lo Stato è molto più fragile di allora». Nel Pdl dicono che i «poteri forti» ce l’hanno con Berlusconi. «Onestamente, credo che di Berlusconi non gliene freghi nulla. Il punto è che la tecnica dei colpi di Stato è cambiata...». Ossia? «Un tempo si puntava al potere statuale, oggi si punta alla destrutturazione degli Stati per lasciare campo libero alla rapina e al terrorismo finanziario, ben più spaventoso di quello armato». Si poteva evitare? «Il problema di Berlusconi è quello di aver scommesso solo sul proprio carisma. Non s’è reso conto che trattare con Putin per il gas russo gli avrebbe alienato le simpatie americane e non ha capito che la frantumazione delle regole avrebbe creato un nuovo ordine selvaggio fondato sulla sfrenata ingordigia delle forze finanziarie». Come per Craxi, tra le cause della sua crisi c’è anche il contesto giudiziario... «Ma il contesto è diverso. Allora, l’iniziativa fu di una minoranza combattiva della magistratura volta a destrutturare il sistema. Oggi, invece, l’iniziativa è della totalità della corporazione giudiziaria». Come lo spiega? «Col fatto che negli ultimi vent’anni i magistrati sono stati minacciati in blocco e Berlusconi non ha avuto la forza di imporgli nuove regole». Il premier fa bene a difendere Alfonso Papa? «Ormai, è tardi. Berlusconi è finito: se arretra su Papa ufficializza la propria impotenza politica, ma al tempo stesso non ha la forza sufficiente per resistere». Cosa dovrebbe fare? «Andarsene. Mussolini si consegnò all’arcivescovado, che pure non risolse i suoi problemi. Ma dopo la storia del bunga-bunga Berlusconi non può neanche sperare in una sponda vaticana...». Anche Craxi, prima del crollo, sembrò perdere lucidità. «Il suo vero errore fu quando, nel ’90, assicurò ad Occhetto che non avrebbe fatto le elezioni anticipate per non approfittare della sconfitta del comunismo. Nacque così il Cafo, dai nomi di Craxi, Andreotti, Forlani e Occhetto. Ma poiché Craxi non impose un governo a direzione socialista col sostegno esterno del Pds, Occhetto e il suo partito si salvarono». Vede analogie tra Scalfaro e Napolitano? «No. Scalfaro aveva la debolezza strutturale dei democristiani, e infatti assecondò il vento di Mani Pulite. Napolitano è animato da una robusta cultura politica e da una spiccata coscienza critica, anche se è pazzesco osservare come oggi l’unica nostra speranza sia un presidenzialismo che la Costituzione ignora». Previsioni? «Posso solo dire ciò che più temo: lo scoppio della rivolta dei giovani meridionali in stile Maghreb. E’ fatale che accada. L’unità nazionale è in pericolo. Questo Paese lo dirigerà chi per primo prenderà la guida della gioventù meridionale riconducendola dal nordafrica in Europa».